“La giada è una pietra dura mineralogicamente appartenente ai silicati. Spesso presenta un tono verde/verdastro per effetto della presenza del cromo. Il nome giada deriva dallo spagnolo ‘pedra de la hijada’, ossia pietra dei fianchi, dato il suo presunto potere benefico sui lombi e sui reni, e risale al tempo della conquista spagnola dell’America Centrale, dove questa pietra era molto apprezzata e lavorata finemente”. Così Wikipedia parla della giada, tralasciando il ghiotto dettaglio del grosso giro di denaro che ruota attorno a questa pietra: più di 30 miliardi di dollari l’anno. Ebbene sì, il commercio della giada, in Birmania, frutta decine di miliardi all’anno. Solo una parte, però, finisce nelle casse dello Stato. Il resto, infatti, va ad alimentare l’economia illegale.
Secondo un rapporto pubblicato da Global witness, un’organizzazione britannica che si occupa di diritti umani e lotta alla corruzione, i dollari provenienti dal commercio della giada estratta in Birmania sono regolarmente intascati da una rete di finanzieri, militari e criminali che da tempo controllano l’economia birmana, in particolare quella sommersa.
La gran parte della giada birmana è venduta alla confinante Cina. Il 50/80 per cento attraversa il confine in maniera illegale. Quindi nelle casse dello Stato finisce soltanto una piccola parte del ricavato che si aggira intorno ai 10 miliardi. I restanti 20 miliardi finiscono nelle tasche di chi controlla la rete criminale che, in tal modo, riesce a mantenere la propria posizione di potere. La possibilità di trarre profitto dal commercio della giada garantisce a questi soggetti influenza politica e ricchezza personale. E’ quindi nel loro interesse assicurarsi che sul settore rimanga quel velo di oscurità che gli ha permesso finora di sottrarre in silenzio miliardi di dollari dalle casse dello Stato. Senza contare che le miniere più redditizie si trovano in zone dove l’esercito birmano e le milizie armate locali sono in guerra da molto tempo.
Nel 2014 si è registrato un record di estrazione della giada i cui proventi economici ammontano a circa 31 miliardi di dollari. Per colpa della corruzione e del malaffare, questa somma non finisce nei cassetti statali, infatti solo l’1 per cento della spesa pubblica è finanziato dal settore minerario. E pensare che quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà…
Post dedicato ai 113 minatori morti sotto una frana il 23 novembre scorso nei pressi della miniera di Hpakant nello Stato del Kachin.
(Fonti: Internazionale, n.1130-anno 23, pag. 24, Francis Wade / Wikipedia /ilpost.it Ye Aung Thu/AFP/Getty Images / patrickvoillot.com / lettera43.it)